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Fine della proroga dello smart working in Italia: Cosa cambia dal 1° luglio 2023

Dal 1° luglio cessano le misure straordinarie per lo smart working nel settore pubblico e privato (a meno di sorprese dell'ultimo minuto)

Il 30 giugno 2023 segna la scadenza della proroga dello smart working in Italia, con importanti implicazioni per i lavoratori fragili e i genitori con figli fino a 14 anni. In assenza di interventi governativi, il diritto a lavorare da remoto cesserà, sia nel settore pubblico che nel privato. Questo metterà fine alla modalità di lavoro da casa precedentemente garantita e richiederà ai lavoratori interessati di tornare in presenza, a meno che non siano stati stabiliti accordi specifici con le rispettive aziende.

Fine della tutela per i lavoratori fragili

A partire dal 1° luglio 2023, i lavoratori fragili, sia nel settore pubblico che nel privato, perderanno il diritto indistinto per tutti, a prescindere da eventuali accordi aziendali, a lavorare in smart working. Fino al 30 giugno, infatti, la legge fornisce una tutela speciale a questi lavoratori consentendo loro di svolgere le proprie mansioni in remoto, al fine di garantire la loro sicurezza e benessere. Tuttavia, senza ulteriori interventi governativi, tale tutela non sarà più applicabile e i lavoratori fragili dovranno tornare a lavorare in presenza, a meno che non siano stati stipulati accordi specifici con i loro datori di lavoro.

Fine della tutela per i genitori con figli fino a 14 anni (solo nel settore privato)

Una delle disposizioni introdotte durante la pandemia era il diritto dei genitori con figli fino a 14 anni di lavorare in smart working, nel settore privato, al fine di conciliare le responsabilità lavorative e familiari. Tuttavia, a partire dal 1° luglio 2023, questa tutela specifica scadrà anche per loro, a meno che non ci siano accordi individuali con l’azienda per estendere la possibilità di lavorare in modalità agile. Pertanto, i genitori di figli sotto i 14 anni dovranno valutare la possibilità di rientrare in ufficio o di trovare alternative, come asili nido o assistenza familiare, per occuparsi dei propri figli durante l’orario lavorativo.

La diffusione dello smart working durante la pandemia

Lo smart working durante la fase acuta della pandemia ha coinvolto un totale di 6,58 milioni di lavoratori: il 97% delle grandi imprese, il 94% delle PA italiane e il 58% delle PMI, secondo i dati dell’Osservatorio del Politecnico di Milano. Già con il diminuire dell’emergenza pandemica si è registrato un progressivo calo degli smart worker, con un totale di 4,07 milioni di lavoratori agili.
Uno studio recentemente pubblicato da Randstad Research testimonia che nell’ultimo periodo in Italia c’è stato un ingente calo nell’applicazione dello smart working: attualmente solo 2,9 milioni di lavoratori su 8 potenzialmente abilitabili al lavoro agile opera in tale modalità, un dato fortemente rilevante che posiziona il nostro Paese in ultima posizione rispetto ai vicini Stati europei dove invece il lavoro da remoto è in continua diffusione.

Possibilità di accordi individuali con le aziende

Nonostante la fine della tutela legale, rimane la possibilità per i lavoratori fragili e i genitori con figli sotto i 14 anni nel settore privato di negoziare accordi specifici con le rispettive aziende. Questi accordi potrebbero prevedere soluzioni alternative, come una riduzione dell’orario lavorativo, una flessibilità nell’organizzazione delle ore di lavoro o la continua adozione dello smart working su base volontaria. Tuttavia, tali accordi dipenderanno dalla disponibilità e dalla volontà dell’azienda di trovare soluzioni adeguate per i dipendenti interessati.

Cosa resterà di questi anni di smart working?

In conclusione, con la fine della proroga dello smart working in Italia il 30 giugno 2023, il mantenimento di questa modalità di lavoro sarà possibile se già in precedenza o durante questi anni le aziende hanno stipulato accordi specifici con i lavoratori, altrimenti sarà necessario che aziende e lavoratori prendano decisioni in merito. L’assenza di una legge specifica sull’argomento sottolinea l’importanza di negoziare accordi aziendali che rispettino le esigenze di entrambe le parti, garantendo al contempo una transizione fluida verso nuovi modelli di lavoro che tengano conto delle dinamiche attuali e delle necessità dei lavoratori.

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